Salame e dintorni

Antiche tradizioni gastronomiche si sono tramandate nel tempo in Basilicata e ancora oggi (gli animalisti si tappino le orecchie!!) nei paesi della Valle del Noce, a gennaio e febbraio, si pratica l’antico rito dell’uccisione del maiale. Già dal giorno prima, in ogni casa, si prepara tutto l’occorrente: lunghe tavole, recipienti di varie misure, coltelli, ganci di ferro, tovaglie, “spare e spariceddi”. La sistemazione delle varie parti del maiale richiede un lavoro lungo e faticoso, che impegna tutti i componenti della famiglia. Ancora oggi, come nel passato, le famiglie si aiutano a vicenda: parenti e vicini di casa, scambievolmente, prestano la loro opera in uno spirito di collaborazione e di vera e solidale amicizia. Sopra lunghi tavoli vengono poggiati grandi pezzi di carne, che vanno tagliati in porzioni sempre più piccole e ripulite dal grasso, che viene messo da parte. La carne va poi condita con sale e pepe a grani, oppure, come è d’uso a Castelluccio, con il peperone di Senise macinato che conferisce ai salami il tipico colore rossiccio. Le donne hanno il compito d’impastare in maniera energica e decisa in modo da bene amalgamare i vari ingredienti. Il giorno prima si è provveduto a lavare gli intestini. Questo è un lavoro impegnativo, che solitamente si svolge presso un corso d’acqua corrente e che viene completato con l’immersione delle interiora in acqua, aceto e sale per varie ore. Oggi si usano delle “macchine” per fare entrare la carne negli intestini e per ammassarla in maniera consona. Anticamente si usavano dei piccoli imbuti: solo l’abilità delle donne consentiva la giusta penetrazione e scongiurava il danno della rottura della sottile parete intestinale. Amichevole e festante è il clima che si crea nei grandi locali a piano terra, dove, pur lavorando alacremente, si chiacchiera, si fanno battute, si ride, si raccontano storie di vita quotidiana, in uno spirito di fraterna condivisione.
A sera, zozicchie e supirsatt’ vengono lasciate in grandi cesti. Il giorno dopo si provvederà ad appenderle al soffitto in un locale areato e piuttosto asciutto. Solo dopo qualche settimana si potrà accendere il fuoco: anche il fumo è un elemento importante per la “cura” di questi nostri prelibati alimenti. Alla fine di tanto lavoro si imbandiscono grandi tavolate: si mangia carne a volontà arrostita sulla brace e si beve il vino nuovo, spillato dalla botte l’otto dicembre, giorno dell’Immacolata, chiamata appunto Madonna ‘i spirtusavutta. Non manca mai il mandacetto, una piccola fisarmonica che, suonato da mani esperte, accompagna le tarantelle e i canti di uomini, donne e bambini.

di Ginetta Scaldaferri

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