I zafarani cruschi

Era un’afosa giornata di fine luglio, ricordo delle ceste piene e rosse sparse per il cortile di casa. Ricordo tante donne sedute sulle sedie impagliate che chine insertavano dei corni rossi, i ‘zafarani’. Chiacchieravano di un matrimonio finito male, di un uomo che le corna le aveva ricevute e la più anziana, ‘zia Rosita’ che le mimava, le corna, con due di quei ‘zafarani’ rossi sulla testa! Ricordo le risate, stridule e potenti che inondarono il cortile ed il lavoro che non si fermava mai, loro, le donne, non smettevano mai di lavorare. Ad un certo punto mi avvicinai a mia nonna, anch’io volevo essere partecipe di quelle risate, io che anche se piccola, adoravo ascoltare i discorsi dei grandi e cercavo di parlare come loro. Allora lei mi insegnò: “prendi il “parciamatarazzi”, infila nella cruna lo spago bianco, fai un buco nel picciolo del peperone e tira più che puoi, lascialo lungo e poi vai avanti, fino a che non ce la fai più a sostenere il peso della “serta”. Io iniziai, le donne mi guardavano ed io sottopressione non volevo sbagliare, non volevo che il picciolo si staccasse e che perdessi uno di quei preziosi ‘zafarani’. Quando uno si spezzava si sentiva il lamento ‘oh, peccato mio, con quello che ci vuole per farli crescere !’ E invece no, non si spezzò, riuscii ad infilare il primo ‘zafarano’, poi un altro e un altro ancora, riuscivo sempre meglio e le anziane mi guardavano un po’ sbalordite fino a che mi dissero “Ah, come sei brava” e allora il mio imbarazzo da ‘osservata speciale’ finì; ormai ero brava ed anche io entrai a far parte del gruppo e mi misi al lavoro condividendo le risate ed ascoltando i racconti delle donne. Dopo qualche ora di lavoro le serte erano pronte per essere appese, sistemate una vicina all’altra lasciando che non si toccassero tra di loro per evitare che si rovinassero, poi appese tutte ecco uno spettacolo fantastico: tutto il cortile era circondato da serte rosse appese, lunghe collane di ‘zafarani’ rosse rosse esposte al caldo sotto l’ombra del pergolato in modo da essiccarsi per diventare uno dei prodotti più preziosi della nostra terra. Tutte le donne che avevano collaborato a creare le serte erano lì a guardare, a godersi lo spettacolo dei corni rossi appesi, che in quel periodo si vedevano in tutto il circondario. Entro poche settimane, se il tempo non fa i capricci, le serte saranno pronte per essere scese. Verso la fine delle vacanze estive le donne si riuniscono di nuovo e dopo aver conservato le serte ecco ne prendono alcune e danno vita ad un altro rituale: le sciolgono, puliscono i zafarani e tolgono i semi, poi li macinano per creare la polvere da cui si ottiene lo ‘zift’. Mentre il lavoro continua inizia la preparazione. Calati gli spaghetti si inizia a preparare il soffritto: olio e aglio a riscaldare, poi si aggiunge la povere di ‘zafarani’ ed ecco il suono “zift”, il fumo del soffritto, il profumo della polvere di ‘zafarani’ a contatto con l’olio inebria tutti ed ecco che va sugli spaghetti ed il piatto è pronto. Poi un assaggio del lavoro del giorno: i ‘zafarani cruschi’, il peperone passato in olio bollente che raffreddandosi diventa ’crusco’, croccante appunto, un sapore forte e dolce come la nostra terra, un rituale risultato del sole e del calore della gente dell’antica terra lucana che ogni anno riemerge con i suoi pregiati frutti a colorare ed arricchire quel paesaggio arso e povero.

Maria Martino

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